| avevo 13 anni appena compiuti, ero sola avevo detto di mio fratello e avevo ottenuto di non vederlo più comparire la notte col suo strusciarmisi addosso, ma avevo ottenuto anche un "è colpa tua infondo".
ero senza meta. senza vita. senza nessuno.
nessuno parlava con me. nessuno voleva sapere se ero viva o morta. e io non mi fidavo (giustamente) di nessuno lì dentro. e non potevo uscire ne parlare con nessuno fuori. e mi mancava il mio cane. parlavo con la mia bambola-orso. la vestivo e la svestivo. le trovavo vestiti smessi tra gli stracci, quella bambola che era stata più grande di me, lei c'era quando arrivò mio fratello a ripetere quello che nostro padre gli faceva, di notte, lei aveva gli occhi come bottoni sempre aperti. lei aveva visto tutto, e io per non perdere contatto con quella parte di me la umanizzavo disperatamente.
ascoltavo ore e ore la radio in camera mia, da sola, seduta per terra, non potendo disegnare perchè "perdi tempo, non hai niente di meglio da fare?" le voci le conoscevo tutte, telefonavo per chiedere delle canzoni perchè non avevo diritto di comprare cassette mie o tenere uno stereo che funzionasse bene, così le chiedevo alla radio. uno di loro alzò le antenne verso me, stupida, sola, isolata, senza scopo. scoprii che mi piaceva tanto che mi ascoltasse al telefono. aveva 28 anni diceva. ci incontriamo a casa mia? e io dissi si, per me era come andare a casa di un mio amichetto. sali in camera mia? e io dissi si, era come entrare in camera del mio vicino a vedere i fumetti. e da quel momento quello che volevo non contava più ovviamente.
Lo stupro è come un pugno che ti sfonda lo stomaco un pugno di cui sei costretta ad ascoltare il rumore il rumore della tua carne che si lacera l'invadenza oltre ogni limite di sopportazione possibile che ti sfonda i timpani del cuore con un urlo muto.
e ogni volta quello strappo si riascolta, come un disco rotto e ti accorgi con orrore che quel disco sei tu. che ti senti rotta dentro.
in fondo, la violazione era la mia vita, non era cambiato nulla direte, e invece si perchè io cercavo amore. cercavo qualcosa di umano. ma di umano non c'era nulla lì.
Il giorno dopo, spaventato, mi chiamò e mi disse che non era stata violenza perchè stavamo insieme. e sapete cosa feci io? accettai.
debole e vuota. accettai. e comunque, a chi dovevo dirlo?
ero solo una puttana. fra oggetto di mio fratello o di mio padre e puttana, preferivo la seconda.
non so spiegarvi lo stillicidio. l'assenza di speranza, il dolore infinito. l'umiliazione e la vigliaccheria. raccattare le briciole di attenzione. accontentarsi di una telefonata. di un "ciao come va" ogni tanto. non so spiegarvi il vuoto che giustifichi questo ridicolo prezzo di compravendita della mia anima di allora.
strisciare per avere una parola, nemmeno troppo sentita. la scelta fra dare il permesso per calpestarmi e avere qualche stralcio di carezza accennata e urlare al vento per poi venire coperta di sputi nel qual caso osassi confessare lo schifo in cui ero, nel qual caso io dicessi che mostri avevo attorno. a chi dovevo dire del mostro sempre infilato nelle mie mutande, ai mostri che si infilavano nelle mie mutande da quando ero nata?
meglio stare zitti. meglio raccattare, usare ogni raggio piccolo di luce pensando che sia il sole per non smettere di sognare.
sognare un giorno, che Amore ci sarebbe stato. che non era tutto finito prima ancora di cominciare.
e fra tutto questo, quello che mi brucia di rabbia ancora e ancora, è soprattutto lui che dopo, scostato e infastidito fra i miei singhiozzi dice "Per fortuna so riconoscere un no che in realtà è si, voi femmine siete tutte uguali".
E ancora oggi, sentire la sua voce alla radio ogni tanto, un conato di collera mi assale.
Mi assale e mi soffoca.
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